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I sei regni del buddhismo tibetano

Esistono molteplici concetti, punti di vista, metafore, che ci permetono di guardare alla realtà umana in modo aperto, capace di sollecitare in noi l’apprendimento e procedere nella crescita personale, seguendo la nostra strada e rispettando le altre strade.

Tra questi la struttura dei 6 regni nei quali il Buddhismo Tibetano colloca tutti gli esseri viventi, a seconda della caratteristica del gioco/dramma che si trovano a vivere, quale tema fondamentale alla base della propria esperienza.

Questa riflessione si basa sugli insegnamenti di Chogyam Trungpa Tulku Rimpoche, mirabile Lama reincarnato appartenente al lignaggio di Milarepa e Padmasambava, formato a partire dai 3 anni di età come lama nella rigorosa scuola monacale buddhista, emigrato a causa dell’invasione cinese del Tibet del 1959, vissuto a lungo e fino alla morte negli stati uniti. Accompagnato dalla studio delle religioni comparate, della filosofia e della psicologia, Trungpa è stato capace di comunicare la profonda saggeza tradizionale tibetana con un linguaggio psicologico e filosofico particolarmente chiaro ed efficace per la cultura occidentale.

I 6 regni rappresentano 6 modalità globali dell’essere collegati alla vita e si possono intendere ugualmente come modalità di proiezione soggettiva dell’Ego o modalità di sogno, di gioco o di distrazione samsarica. Nel contesto della riflessione sullo stress i 6 regni possono essere intesi come categorie entro le quali l’individuo vive distinte fonti di stress e come differenti espressioni del fallimento nella sua gestione (burn-out). Nel regno umano si trova invece, come descritto, la possibilità di gestire lo stress in modo creativo ed evolutivo.

Il primo regno, il Regno degli Dei, rappresenta il paradiso, il modo di vivere di coloro che hanno ricchezza, successo, abbondanza e benessere da ogni punto di vista. In questo regno abbondano la speranza e la paura, il desiderio e il timore. Il dramma di fondo che sottostà al regno è la paura di perdere l’abbondanza che si possiede. Proprio perché non si E’ tale abbondanza, ma la si possiede (come successo, beni materiali, bellezza, fascino, capacità, ecc.) viene incoscientemente percepito il continuo rischio di perderla.

Il secondo regno, il Regno degli dèi gelosi, si fonda su di un atteggiamento paranoico, la paura che gli altri possano sottrarci quello che abbiamo/siamo (e che si ritiene di aver creato per sé) e la paura di non ottenere ciò che si desidera e che si sente impellente per confermare sé stessi. Così subentra la gelosia, il desiderio di possedere quello che non abbiamo e di sottrarlo agli altri. In ogni campo della vita. Il dramma su cui si basa il regno degli déi gelosi è la ricerca continua di ciò che manca.

Il terzo regno, il Regno umano, riguarda il mondo delle cose ordinarie, della vita comune, che si confronta con il suo dramma fondamentale: la lotta tra le passioni, l’alternanza e la tensione conflittuale tra le emozioni che muovono in direzioni e con forze diverse e altalentanti le azioni, i pensieri, le intenzioni, le scelte.

Il quarto regno, il Regno animale, rappresenta l’atteggiamento di chi è fortemente identificato con le proprie caratteristiche caratteriali, come un animale è totalmente incarnato nei propri istinti, e nelle proprie caratteristiche distintive. Ciò rende egocentrici, chiusi, rigidi, giudicanti e ottusi.

Il quinto regno, il Regno degli spiriti famelici si basa su di una condizione di povertà, di miseria. Il bisogno impellente che orienta gli sforzi è quello di ottenere ciò che manca, di soddisfare il bisogno di sopravvivenza, con un senso di avidità, di fame insaziabile di “altro”. L’avidità che fa da cornice orienta tutto l’agire, il pensare, il sentire. Vi è una continua “tensione verso”, un continuo ricercare e con esso un fondamentale senso di inadeguatezza.

Il sesto ed ultimo regno, il Regno dell’Inferno è costituito dal tema dell’aggressività: i pensieri, le azioni, le persone, lo spazio, tutto è carico di distruttività, di un senso claustrofobico di non avere spazio, aria, possibilità. Il dramma basilare che si vive è la lotta, il conflitto, la sopraffazione. Gli altri e l’”altro” sono parte di un continuo gioco conflittuale.

Il regno umano è un regno chiave, perché riconducendo le persone all’ordinarietà della propria vita, alla quotidianità che chiede attenzione per ogni cosa - dalla più alta alla più bassa, dalla più piacevole alla più sgradevole, da quella occasionale a quella ripetitiva, ecc.- offre una via d’accesso a qualcosa che sta oltre i regni: il rapporto diretto, sano, non nevrotico, libero dai condizionamenti e dal passato, creativo, con la realtà viva che accade ogni momento.

Cogliere l’opportunità di trascendere i regni, quando si “transita” nel regno umano, significa vedere che essi rappresentano comunque una fuga dal rapporto immediato e diretto con la realtà. I regni si rivelano per ciò che sono: una proiezione della mente, una modalità di relazione con le cose ingabbiata dentro costellazioni di credenze, abitudini, condizionamenti, regole implicite.

Solo il regno umano, con la sua incertezza, il dubbio, la confusione e l’apertura che si rende possibile, permette una certa mobilità rispetto alla forza coercitiva degli altri regni, che creano attorno una realtà così solida (dall’estremo successo della star, al dramma assoluto della guerra o della fame) da non poter essere percepita dalla mente umano altro che come appare, permettendo così agli individui di trovare modalità sane per orientare efficacemente ed evolutivamente lo stress.

Ivan Sirtori

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