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Imparare ad imparare, cioè vivere liberi.

Capiamoci: ogni istante della nostra vita IMPARIAMO qualcosa. Che ci sia o meno consapevolezza in questi apprendimenti non fa la differenza, ciò che impariamo ci trasforma e ci forma.

Intendo con il termine Imparare quel che succede quando due elementi entrano in contatto: si contaminano, cambiano reciprocamente, aggiungono e integrano elementi nuovi provenienti dall'altro. Sto descrivendo una specie di processo osmotico: nell'incontro c'è un "movimento" di informazioni che passano da uno all'altro degli elementi, che nel nostro caso sono due esseri umani che si incontrano.

Che io stia parlando di un adulto che insegna ad un bambino o di un artista che sta dipingendo, in entrambi i casi quel che accade è che sia l'adulto che il bambino "imparano", cioè integrano nuove informazioni, sia l'artista che la sua tela "imparano" cioè di nuovo integrano informazioni. Nel primo caso il bambino sa di essere un bambino e semplicemente non mette resistenze quindi impara, l'adulto, se si ascolta, sente che sta imparando sia da quel che insegna al bambino, sia dal bambino stesso, dalle sue domande, dal suo sguardo. Nel secondo caso l'artista "provando impara", sperimenta, coglie gesti e li ripete, coglie sfumature e le trasforma. La tela "impara" perché tutti i gesti dell'artista la trasformano, integrandone le informazioni in arrivo, poste con il pennello sulla tela dall'artista, in un quadro, in un'opera.

Chiarisco meglio cosa intendo per "ciò che impariamo ci trasforma e ci forma": stiamo nel mondo per come abbiamo imparato a starci. Sin da piccoli abbiamo imparato parole, gesti, azioni che ci hanno pian piano permesso di interagire con il mondo che ci circondava, prima quello più intimo e familiare da piccoli poi quello più allargato della società che pian piano ci ha accettato in quanto avevamo le parole giuste per farci capire, le giuste azioni e i giusti pensieri.

Quando dico "giusti" intendo die che erano condivisi dagli altri e ci hanno permesso di capire e farci capire.

In questo modo la spontaneità dell'apprendimento, il suo essere "continuo", ha seguito le informazioni disponibili, conosciute, accettate e trasmesse per dare "forma" a quell'esserino selvaggio appena nato in modo che fosse possibile per lui "stare" nel mondo che lo stava accogliendo.

Per questa via ogni ambiente in cui entriamo ci "forma": abiti, parole, toni, emozioni espresse e/o represse perché non consone al contesto, pensieri in percorsi logici definiti e dentro una stessa logica di vedere e vivere il mondo. E allora trovi culture aziendali in cui la cravatta è obbligatoria, trovi pub dove il rasta è presente ma se arriva uno con la cravatta si sentirà sicuramente a disagio, trovi classi elementari dove il momento più bello è quando la maestra legge una fiaba e altre classi in cui nessuno ascolta perché le fiabe "son da bambini". Passeggi lungo una strada e i tuoi abiti colorati accendono l'attenzione di chi cammina in quell'isolato paesino di montagna, poi al semaforo della grande città incroci il dandy fantasioso che attraversa la strada con i capelli blu e noti che nessuno se ne accorge.

Quel bimbo selvaggio pian piano impara "cosa è già pensato" da tutti, quindi impara anche cosa dire e fare per generare gli effetti desiderati: la pappa, la nanna, il "bravo", la coccola, il regalo, il riconoscimento, la punizione, l'accettazione e il rifiuto, l'integrazione o l'emarginazione, il potere o la solitudine.

Man mano che cresce ciò che dovrà imparare crescerà con lui e ad ogni nuova esperienza si integreranno nuove informazioni, nuove forme, nuovi apprendimenti.

E da questa prospettiva il potenziale di trasformazione di se stessi e di ci ò che ci circonda di un apprendimento consapevole, continuo e "a briglie sciolte", che segue quel che la realtà costantemente propone, diviene uno strumento meraviglioso di libertà e crescita "sul proprio sentiero".

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