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Brevi riflessioni sulla lettura di storie in ambito formativo

Leggere una fiaba, un racconto, un mito, attiva un ascolto sensoriale e affettivo nell’interlocutore: permette di pensare attraverso immagini “bagnate d’emozione”. Si tratta dunque di un ascolto non puramente cognitivo e ricco di possibili intuizioni.

Ogni storia è un intreccio di altre storie e, a sua volta, si intreccia ad altre ancora, formando una fitta rete di processi dotati di molteplici significati.

La nostra stessa vita è una storia, fatta di pensieri, di emozioni, di azioni, così come di scelte, di dubbi, di conflitti, di apprendimenti, di ruoli, di necessità e di desideri. Il linguaggio narrativo ci ricorda che le cose non sono né oggettive, né valide in assoluto, bensì sono come noi ce le raccontiamo. Quello che esiste non è la realtà, bensì l’interpretazione che a questa diamo.

Leggere una fiaba durante un corso di formazione significa proporre una modalità di pensare alla realtà che ci coinvolge attraverso uno strumento particolare: il pensiero narrativo. Una forma di pensiero che non si occupa di valutare, analizzare, ordinare con pretese di oggettività gli eventi (come fa il pensiero logico-razionale); bensì una modalità di interpretazione della realtà che passa attraverso concatenazioni e trame, alla ricerca del senso che noi sappiamo attribuire agli eventi stessi.

Questo, in verità, è il modo con cui normalmente riflettiamo intorno al reale, un modo carico di significato, proprio perché coinvolge l’uomo nella sua interezza e complessità sensoriale, emotiva e cognitiva.

Come suggerisce Roberto Vaccani nell’introduzione a C’era una volta, favole da manager (ed.Olivares):

“Il linguaggio della favola propone al lettore un tuffo nella metafora, nel mondo delle associazioni apparentemente illogiche. La trama metaforica permette di dire senza dire, di essere discretamente insinuanti e di lasciare al lettore la responsabilità di aver capito al di là dell’intenzione del narratore.

La metafora prende per mano l’intrigante intuito e lo conduce alla lettura dei segnali deboli (abilità propria di chi sa scorgere la storia depositata sulle righe di un viso).

Il favoleggiare impone e permette una comunicazione essenziale sul mestiere del vivere, ammantata di trasgressione, una sorta di saggezza travestita da follia. Il lettore è libero di coglierne la foggia e/o la sostanza, libero di farsi solleticare l’intelletto o di farsi raggiungere dritto alla pancia.

Gli estensori di questo scritto vogliono invitare i lettori ad un viaggio durante il quale la “bussola” dell’intuito potrà essere più rivelatrice della dettagliata “piantina stradale” della ragione.

Un viaggio dove il gusto di viaggiare supera di gran lunga l’ansia di arrivare.

Un viaggio ricco o povero nella misura più del viaggiatore che dell’itinerario in sé.

Un viaggio che può continuare con l’interrogativo: e se la mia favola fosse una sola delle tante che posso scegliermi?”

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