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Alberoborgo

C’era una volta un regno, governato da un Re sapiente e buono, Re Lucente. Egli amava molto il suo reame, e tutto ciò che vi apparteneva: i suoi abitanti, ma anche gli animali e le piante verdissime e rigogliose che ricoprivano le terre circostanti in vastissimi boschi, e gli orti e i campi, i davanzali arcobaleno illuminati da fiori di ogni tipo.

Il Re era ormai molto vecchio e sapeva che presto avrebbe dovuto salutare i suoi sudditi ed eleggere il nuovo regnante, suo figlio Aldovino, soprannominato Mortimer, perché era un tipo un po’ strano, sempre triste, uggioso, come fosse costantemente addolorato da pensieri cupi e tenebrosi. Re Lucente era dispiaciuto per suo figlio, e anche il popolo intero, temeva che non sarebbe stato un buon regnante, ma era il suo unico figlio, lo amava e non poteva fare granché d’altro. Così arrivò il giorno della morte del Re Lucente e presto Mortimer fu Re.

Mortimer pianse a lungo per la morte del padre e giurò che sarebbe stato un buon Re, ma i suoi pensieri tristi non lo facevano stare un attimo in pace, così decise di partire alla ricerca del famoso Indovino Futuribus, che si diceva abitare tra i boschi, alle pendici del monte Saggius, ben distante dal castello.

Il viaggio fu lungo e faticoso ma prima che venne la notte Re Mortimer trovò l’indovino intento a armeggiare con i suoi strumenti stregoneschi. Gli raccontò la sua storia e gli chiese di aiutarlo a trovare la causa della sua sofferenza: Futuribus prese un mucchietto d’ossa di cinghiale, che sembravano pietre, e cominciò a farle volteggiare in aria cantando una strana canzone:

sogna, sogna, il viaggio il cuore bagna

qualcosa è accaduto che hai dimenticato

ricordati il passato, dove ti portò il fato

… e al termine della canzone le ossa caddero a terra e composero una forma: quella di un grande albero fronzuto, alto, severo, spaventoso. “Ecco la causa dei tuoi mali”, disse Futuribus. Re Mortimer guardò a terra e immediatamente ricordò: tanto tempo addietro, quando non era altro che un bambino di pochi anni, si era perso, giocando nel bosco. E là era rimasto urlando e piangendo, alla ricerca della strada di casa. Era tanto spaventato che gli alberi gli apparivano come giganti, i cespugli mossi dal vento come spettri, le foglie cadenti come insetti giganti pronti a morderlo. A furia di correre inciampò in una radice sporgente e si ritrovò ai piedi del grande albero che dominava il cuore della foresta. Era enorme e nodoso, spigoloso, severo, tanto che il bimbo, lanciando un urlo terrificante, svenne. Si ritrovò, dopo più di un giorno nel caldo lettuccio di suo padre: era stato ritrovato dalle guardie che lo stavano cercando per la foresta. Non ricordava più niente dell’accaduto, così non potè raccontare la paura provata a nessuno e questa gli rimase dentro il cuore, rendendolo ogni giorno più cupo.

Di fronte a questo ricordo il Re Mortimer non diede nemmeno tempo a Futuribus di parlare, di dargli qualche consiglio, voleva ad esempio suggerirgli di tornare dall’albero e guardarlo con occhi nuovi, per accorgersi che in fondo non era nient’altro che una grande, bellissima, antichissima quercia. Mortimer, galoppò verso il castello con il suo cavallo, con nel cuore un gran desiderio di vendetta. Appena arrivato ordinò alle sue guardie di percorrere tutto il regno e abbattere ogni albero che avessero trovato, estirpare ogni pianta, distruggere ogni fiore, finché non fosse rimasto solo deserto. Così fecero e i sudditi, pur non capendo il perché, furono costretti a collaborare, pena la loro morte. In men che non si dica, il regno di Mortimer divenne una distesa sterminata di terra e roccia, senza più un albero, una pianta, un fiore. Presto gli animali se ne andarono, non avendo di che cibarsi, di che ripararsi e di che svagarsi.

Re Mortimer fu per qualche attimo felice, finché la sua tristezza non tornò presto a fargli visita; inoltre le sue condizioni fisiche stavano peggiorando. Si era ritirato negli scantinati del castello, dove passava tutto il suo tempo tra i brutti pensieri, uscendo solo una volta al giorno, per verificare, dall’alto della torre più alta, che nessuna pianta tornasse più alla vita.

Il tempo passava e, giorno dopo giorno, l’aria era sempre meno respirabile (e sì, perché non vi erano più piante a produrre ossigeno); inoltre le riserve di cibo stavano finendo e non vi erano più bacche, frutti, verdure da coltivare, né animali da cacciare. I campi erano stati distrutti, gli animali fuggiti. Era proprio una situazione disperata.

Alcuni abitanti del regno incominciarono a riunirsi segretamente durante le lunghe e tristi notti di quel periodo, per escogitare una soluzione ai loro problemi. E uno e due e tre, passarono le notti e finalmente uno di loro ebbe un’idea geniale: “Io sono un ottimo pittore. E voi degli abili costruttori; potremmo lavorare sodo per una notte e costruire attorno al castello una grande muraglia che io dipingerò con i colori del paesaggio circostante. Inganneremo così il Re e avremo tempo di seminare e ridare vita ai campi e al bosco. Il Re può anche morire, noi non possiamo andare avanti così per un suo capriccio”. Tutti furono d’accordo, raccolsero i semi che avevano nascosto e lavorarono duro per una intera notte: per ogni metro di muro costruito, il pittore subito vi dipingeva il paesaggio così come era nella realtà, uguale uguale. Fu un gran lavoro, ma allo spuntar dell’alba era terminato. Il Re fu così abilmente ingannato.

Nel frattempo gli abitanti del regno si prodigarono per piantare e concimare e seminare e ridare vita, ai campi e al bosco. Il Re usciva ogni giorno a controllare, sempre più triste e stanco, e non si accorse di nulla: sì, gli sembrava strano non vedere più gli abitanti tutt’intorno al castello, ma era così depresso ed esausto che non se ne preoccupò. Nemmeno le guardie se ne interessarono, anche loro stanche e affaticate da quell’aria sempre più pesante, povera di ossigeno, irrespirabile. Passavano le giornate sdraiati, a riposare, mangiando quel poco che rimaneva nella dispensa reale.

Intanto il bosco ricresceva, le piante spuntavano dolcemente da sotto la terra e qua e là si rivedevano macchie di colori: i fiori. Pian pianino l’aria tornò respirabile e la malattia del Re divenne sempre meno terribile. Finché, un giorno, tornate le forze, volle uscire a fare una passeggiata. Si accorse così che il castello era circondato da un’alta muraglia. Chiamò le guardie e la fece abbattere; gli si presentò così davanti un tale splendore: distese di verde, macchie di rosso e giallo e violetto e lillà, e arancione; un profumo l’avvolse e si sentì come rinascere. Si accorse così , come folgorato da un’intuizione, di quale terribile gesto avesse compiuto tempo prima: aveva cercato di dimenticare l’antico episodio della fuga nel bosco, per il quale si era preso un enorme spavento, distruggendo tutte le piante intorno a lui, creando il deserto. In questo modo non aveva fatto altro che creare un deserto dentro il suo cuore e presto ne sarebbe morto.

Così ritornò il sorriso sul suo volto, ringraziò gli abitanti del regno per quell’inganno benevolo e giurò eterna fedeltà e amicizia alle piante del bosco. Da allora Re Mortimer venne chiamato Vitalicus e il suo regno Alberoborgo: il suo simbolo fu una grande quercia, nodosa, con i rami inarcati, come in un sorriso.

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